Licenziamento per giusta causa: cosa sapere dalla prospettiva del dipendente

Licenziamento per giusta causa: cosa sapere dalla prospettiva del dipendente

Con “licenziamento” si intende la pratica messa in atto dal datore di lavoro per porre fine al rapporto professionale instaurato con il dipendente.

Esistono tre tipologie di licenziamento: collettivo, per giusto motivo e per giusta causa.

Nel qui presente articolo ci concentreremo su quest’ultima.

Licenziamento per giusta causa: che cos’è e cosa implica

Tra tutti i tipi di licenziamento, quello per giusta causa è indubbiamente il più grave.

Disciplinato dall’articolo 2119 del codice civile, esso consiste nella possibilità da parte del datore di lavoro di rescindere il contratto di lavoro con un dipendente prima della scadenza dello stesso (nel caso si trattasse di un contratto a tempo determinato) o senza necessità di preavviso (nel caso invece in cui si trattasse di un contratto a tempo indeterminato) laddove l’individuo in questione abbia compiuto un danno di entità talmente grave da aver compromesso irreparabilmente il suo rapporto di fiducia nei confronti dell’azienda che lo ha assunto.

Tra le cause che più frequentemente provocano un licenziamento per giusta causa possiamo citare:

  • Furto di beni propri dell’azienda o loro danneggiamento;
  • Minacce e/o atti di aggressione al personale aziendale, siano essi colleghi o superiori;
  • Falsa malattia e in generale uso inadeguato dei permessi lavorativi;
  • Violazione del principio di segretezza aziendale.

E se la giusta causa non sussiste?

Affinché sia ritenuto legalmente applicabile, il licenziamento per giusta causa, come del resto fa intendere il nome, deve avere alla base di sé una motivazione valida; non può cioè essere mai dovuto a fattori discriminanti quali ad esempio il colore della pelle, il credo religioso o in generale lo stile di vita.

Può tuttavia succedere che il lavoratore riceva una lettera di licenziamento in cui sono indicate come cause responsabili dei comportamenti sì di grave entità, ma che egli non ha mai commesso, o che comunque non corrispondono all’esatta realtà dei fatti.

In questi casi, è diritto del dipendente contestare quanto avvenuto, rispettando però dei limiti di tempo ben precisi: entro 60 giorni dal comunicato licenziamento, bisogna impugnare quest’ultimo mediante una raccomandata; al termine di questa fase, definita “stragiudiziale“, è necessario depositare il ricorso circa l’ingiusto licenziamento presso il tribunale competente, entro 180 giorni.

Sarà poi compito del Giudice del Lavoro fissare la data dell’udienza, durante la quale il datore di lavoro sarà tenuto a dimostrare di aver licenziato il dipendente in presenza effettiva di una giusta motivazione.

Cosa spetta al lavoratore licenziato senza giusta causa

Nel caso in cui il giudice accogliesse il ricorso del lavoratore e prevedesse che il licenziamento perpetrato nei suoi confronti non ha senso di esistere, il dipendente ha diritto ad ottenere degli indennizzi per il danno subito.

L’ammontare di essi dipende però da due fattori: la grandezza dell’azienda (ovvero quanti lavoratori presenta) e se il contratto di lavoro è stato siglato prima o dopo l’avvento del Jobs Act (marzo 2015).

Prima del Jobs Act

Se l’impresa ha meno di 15 dipendenti, il datore di lavoro deve versare alla parte lesa un indennizzo compreso tra le 2,5 e le 6 mensilità.
Se invece i dipendenti sono più di 15 e la causa scatenante il licenziamento è considerata dal giudice non così grave da essere punita in tal modo o non esiste affatto, il datore di lavoro è tenuto a reintegrare il dipendente e a versagli un risarcimento pari a tutti i giorni in cui questi non ha potuto lavorare (compresi i contributi).

Dopo il Jobs Act

Se l’azienda ha meno di 15 dipendenti, al lavoratore spetta un risarcimento pari a 6 mesi di lavoro; se l’azienda ha più di 15 dipendenti, il lavoratore può essere a tutti gli effetti reintegrato.