Helicobacter pylori: cos’è e quali esami effettuare per diagnosticarlo

Helicobacter pylori: cos’è e quali esami effettuare per diagnosticarlo

Uno tra i principali microorganismi responsabili di infezioni del tratto gastro-intestinale è l’helicobacter pylori. Sintomi della gastrite e di altre infiammazioni croniche possono scaturire proprio dall’attività di questo batterio, il quale però nella maggior parte dei casi vive da saprofita, ovvero senza provocare alcun danno all’organismo. Tenere sotto controllo la presenza dell’helicobacter pylori è tuttavia di fondamentale importanza, dal momento che alcuni studi concordano nell’identificarlo come uno dei fattori di rischio per alcune patologie più gravi a carico dell’apparato digerente. Abbiamo parlato di tutto ciò insieme agli esperti di Medical Gamma.

Helicobacter pylori: cos’è

L’helicobacter pylori, anche abbreviato in HP, è un batterio gram-negativo naturalmente resistente all’acidità dei succhi gastrici. Ha forma di bastoncello e presenta due o tre filamenti alle sue estremità. Le sue caratteristiche lo rendono predisposto a colonizzare la mucosa gastrica e quella duodenale. Una volta insediatosi, produce delle tossine che riducono la produzione di muco, favorendo l’insorgenza di ulcere. Nei casi più gravi queste possono arrivare a provocare sanguinamenti interni, che si manifestano con ematemesi (vomito con sangue). Nell’80-85% dei casi l’infezione rimane asintomatica o al massimo provoca una sintomatologia lievissima, priva di sviluppi più importanti. In caso si manifesti l’helicobacter, sintomi frequenti sono:

  • Bruciore diffuso nella zona gastrica. Quello tipico da helicobacter tende ad accentuarsi a stomaco vuoto e durante le prime ore del mattino;
  • Nausea;
  • Vomito;
  • Inappetenza;
  • Gonfiore;
  • Stanchezza cronica;
  • Dispepsia;
  • Eruzioni cutanee;
  • Difficoltà a digerire.

Uno dei rischi più importanti delle infezioni da helicobacter pylori è l’aumento delle possibilità che l’individuo colpito sviluppi cancro o linfoma gastrico. Questa correlazione è però ancora oggetto di ricerca. Non è infatti ben chiaro come questo batterio favorisca lo sviluppo delle neoplasie, anche se le evidenze sembrano puntare tutte nella medesima direzione. Prima di passare all’analisi degli esami diagnostici è interessante chiarire un ultimo aspetto riguardo l’helicobacter pylori: come si prende? Una delle modalità di trasmissione più frequenti è per via orale, attraverso il contatto con la saliva. Può essere contratto anche tramite contatto con feci o vomito, oppure consumando liquidi e cibi da essi contaminati, specialmente se crudi.

Helicobacter pylori: gli esami diagnostici

Alla luce dell’elevato potenziale di rischio, rilevare l’eventuale presenza dell’helicobacter pylori con adeguati strumenti diagnostici è molto importante. Le tre metodologie utilizzate sono:

  • Ricerca istologica da effettuare su biopsie effettuate nel corso di una gastroscopia;
  • Ricerca degli antigeni fecali per HP (HPSA);
  • Urea Breath Test.

Quest’ultimo esame diagnostico è il modo più semplice e affidabile per trovare l’helicobacter pylori, dal momento che non è invasivo ed è contraddistinto da una maggiore accuratezza rispetto alle alternative. L’Urea Breath Test sfrutta il fatto che il batterio sopravvive nello stomaco utilizzando l’urea contenuta nel muco gastrico, per riscontrarne l’attività. Al paziente sottoposto al test del respiro viene dunque somministrata dell’urea marcata con un isotopo del carbonio non radioattivo (13C). Qualora fosse presente l’helicobacter pylori, l’ureasi prodotta dal suo metabolismo idrolizzerà l’urea introdotta in ammoniaca e anidride carbonica. Quest’ultima sarà rapidamente assorbita dalle pareti dello stomaco, trasportata nel sangue e successivamente espulsa con la respirazione. Dopo 30 minuti, in caso di infezione, l’aria espirata dal paziente sarà ricca di anidride carbonica radiomarcata. A quel punto potrà essere prescritta un’adeguata terapia antibiotica per debellare helicobacter e sintomi correlati alla sua colonizzazione dello stomaco. Solitamente il trattamento dura circa un paio di settimane e potrebbe richiedere di associare più antibiotici per una perfetta riuscita. Viene inoltre abbinata la somministrazione di inibitori di pompa protonica, utili a ridurre l’acidità dello stomaco e a migliorare l’effetto della terapia, che ha un tasso di successo del 90%. È importante anche una buona profilassi di prevenzione, sia curando l’igiene delle mani, sia evitando altri fattori di rischio. Tra questi fumo di sigarette, alcol e antinfiammatori non steroidei, responsabili dell’abbassamento delle naturali difese della mucosa gastrica. Leggi anche l’articolo: Impronta dentale: cos’è e con quali materiali si realizza